domenica 9 ottobre 2011

Anne Frank - Diario



























Mercoledì 13 gennaio 1943

Cara Kitty,
questa mattina sono stata di nuovo disturbata da diverse cose e quindi non sono riuscita a concludere niente. Abbiamo una nuova occupazione, e cioè riempire sacchetti di sugo d'arrosto (in polvere). Questo sugo è prodotto dalla Gies & Co. Il signor Kugler non riesce a trovare nessuno che gli faccia questo lavoro e se lo facciamo noi costa anche molto meno. È uno di quei lavori che anche i carcerati vengono costretti a svolgere, è stranamente noioso e ti fa girare la testa e ridere.
Fuori è tremendo. Giorno e notte quella povera gente viene portata via con uno zaino soltanto e un po' di denaro che comunque gli vengono poi rubati durante il tragitto. Le famiglie sono divise, uomini, donne e bambini vengono separati. Ci sono bambini che tornando da scuola non trovano più i genitori, donne che fanno la spesa e, quando tornano, trovano la casa sigillata e la famiglia scomparsa. Anche i cristiani olandesi cominciano ad avere paura, i loro figli vengono mandati in Germania. Tutti hanno paura. Ogni notte sopra i Paesi Bassi passano centinaia di aerei che raggiungono le città tedesche e rivoltano la terra con le loro bombe e ogni ora in Russia e in Africa cadono centinaia, addirittura migliaia di persone. Nessuno riesce a tenersi fuori. Tutta la Terra è in guerra, e anche se gli Alleati se la cavano già meglio non si vede ancora una fine.

sabato 9 luglio 2011

Eugenio Montale - Meriggiare pallido e assorto...



Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

sabato 18 giugno 2011

Ernesto Che Guevara - America Latina
























Il libro America Latina - Il risveglio di un continente edito da Feltrinelli è una raccolta di appunti e discorsi di quell'invidiabile spirito rivoluzionario che fu Ernesto Guevara detto "Che". Il primo brano che propongo è una delle tante speculazioni antiamericane che si ritrovano dappertutto negli scritti e nei discorsi di Che Guevara. Aveva ragione, proprio tanta ragione ad avercela con l'imperialismo statunitense e i suoi monopoli. Guardate il mondo di oggi! Siamo noi, cittadini-consumatori che rendiamo possibile la sopravvivenza artistica di personaggi come Lady Gaga, Rihanna e compagnia bella. Siamo ancora noi che ci vestiamo in serie t-shirt, shorts e Converse; che pendiamo dalle labbra di Steve Jobs per sentire le ultime novità tecnologiche che crediamo ci cambieranno la vita; che facciamo la coda ai McDonald's pagando un menù cancerogeno lo stesso prezzo di pizza e birra; che beviamo più Coca Cola che acqua; che diciamo: «l'inglese è più musicale!».
Qualcuno ci salvi! Qualcuno scateni una rivoluzione culturale, perché di questo tipo di rivoluzione c'è bisogno oggi.
Il secondo brano che posto sotto, è invece una lettera che Ernesto scrive da un carcere messicano ai suoi genitori in Argentina. Le poche righe della missiva sono molto belle perché denotano una grande forza d'animo e una passione per la rivoluzione che sono solo da invidiare.

domenica 1 maggio 2011

Bertolt Brecht - Vita di Galileo











































ANDREA Ma allora, perché avete abiurato?
GALILEO Ho abiurato perché il dolore fisico mi faceva paura.
ANDREA No!
GALILEO Mi hanno mostrato gli strumenti.
ANDREA Dunque non l'avete meditato?
GALILEO Niente affatto.

Pausa.

ANDREA (forte) La scienza non ha che un imperativo: contribuire alla scienza.
GALILEO E questo, l'ho assolto. Benvenuto allora nella mia sentina, caro fratello di scienza e cugino e cugino di tradimento! Vuoi comprare pesce? Ho pesce! E non è il mio pesce che puzza, sono io. Io svendo, e tu acquisti. O irresistibile potere di questa merce consacrata, il libro! Gli basta guardarlo perché gli venga l'acquolina in bocca e ricacci giù tutti gl'improperi. La grande Babilonia, la scarlatta belva assassina, spalanca le cosce, ed ecco, tutto è cambiato. Santificata sia la nostra congrega di trafficanti, di riverginatori e di tremebondi davanti alla morte!
ANDREA La paura della morte è umana! E le debolezze umane non interessano la scienza.
GALILEO No!... Caro Andrea, anche nella mia attuale condizione mi sento di orientarti un poco su tutto ciò che interessa questa professione di scienziato, cui ti sei legato per l'esistenza.

Breve pausa.


sabato 9 aprile 2011

Marcel Proust - Alla ricerca del tempo perduto






































Il sole s'era nascosto. La natura ricominciava a regnare nel Bois, dal quale era dileguata l'idea che potesse essere quello il Giardino elisio della Donna; al di sopra del mulino fittizio il cielo reale era grigio; il vento increspava il Grande Lago di minime onde, come un lago; grossi uccelli sorvolavano velocemente il Bosco, come un bosco, e lanciando acuti stridi si posavano uno dopo l'altro sulle grandi querce che sotto la loro corona druidica, e con maestà dodonea, sembravano proclamare il vuoto inumano della foresta sconsacrata, e mi aiutavano a capire meglio la contraddizione insita nel ricercare entro la realtà i quadri della memoria, ai quali mancherebbe comunque l'incanto che acquistano dalla stessa memoria e dal non essere percepiti con i sensi. La realtà che avevo conosciuta non esisteva più. Bastava che Madame Swann non giungesse, identica, nel medesimo istante perché il viale fosse altra cosa. I luoghi che abbiamo conosciuti non appartengono solo al mondo dello spazio dove per semplicità li collochiamo. Essi non erano che una parte esigua del complesso di sensazioni confinanti che formavano la nostra vita d'allora; il ricordo d'una certa immagine non è che il rimpianto d'un certo istante; e le case, le strade, i viali sono, ahimè, fugaci come gli anni.

Un romanzo fantastico quello di Proust, che ci porta indietro nel tempo attraverso i luoghi della memoria; la sua memoria, certo!, ma tale esercizio poi è utile a tutti i lettori. La lettura è difficile. Il romanzo è lungo, tanto che è stato “conveniente” dividerlo in sette parti:
  • Dalla parte di Swann
  • All'ombra delle fanciulle in fiore
  • La parte di Guermantes
  • Sodoma e Gomorra
  • La Prigioniera
  • Albertine scomparsa
  • Il Tempo ritrovato

Pino Cacucci - Ribelli!























Nicola Sacco entra con passo sicuro nella stanza della morte. Guarda uno per uno i volti degli uomini presenti, poi si siede sulla sedia elettrica, fortemente illuminata al centro del locale. Rivolto alla penombra che lo circonda, dice: “Addio moglie mia, figli miei, compagni miei E a voi, signori: buonasera”. Quando finiscono di sistemare la cinghie e il casco metallico, Sacco raccoglie le forze per un ultimo gesto di fierezza, e pronuncia ad alta voce: “Viva l'anarchia!”.
Alle ore 0.13 mister Robert Elliott, il boia, abbassa la leva una prima volta. La scarica da 1800 volt attraversa il corpo del condannato, facendolo sussultare, Quando Elliott alza la leva, Nicola Sacco è ancora vivo. Una seconda scarica da 2000 volt lo finisce. Il cadavere viene adagiato su una barella nascosta da un paravento.
Fanno entrare Bartolomeo Vanzetti. Ha un sorriso sinistro sulle labbra, e avanza a testa alta. Prima che lo leghino, stringe la mano ai guardiani e dice, con voce ferma e chiara: “Voglio ribadire che sono innocente. Ho commesso i miei peccati, ma mai un delitto. Ringrazio tutti quelli che si sono battuti per dimostrare la mia innocenza”. Mentre gli calano il casco sul capo, aggiunge: “Desidero perdonare le persone che mi stanno facendo questo”. Alle ore 0.21 Elliott abbassa la leva. La scarica è di “soli” 1400 volt. Il corpo di Bartolomeo Vanzetti si inarca per tre volte. È ancora vivo. Seconda scarica. Dopo uno spasimo che ai testimoni sembra interminabile, il condannato cessa di vivere. L'unico giornalista presente, Playfair dell'Associated Press, è sconvolto, e scrive sul suo taccuino: “Perché immettere una corrente così bassa, quando si poteva risparmiare questa raccapricciante sofferenza?”.
Si è appena conclusa una delle più controverse vicende della storia giudiziaria statunitense, durata sette anni e destinata a sollevare sdegno e proteste per molti decenni.

“Ribelli!” di Pino Cacucci è un libro emozionante. Raccoglie tredici storie di ordinario utopismo, che non è quell'utopismo che vuole cambiare il mondo; durante la lettura del libro, però, ti senti anche tu un inguaribile utopista, e ti ecciti perché vorresti esserci tu al posto di quei protagonisti le cui azioni e parole gli hanno consentito di essere dei piccoli grandi e, senz'altro, morire col cuore pieno d'orgoglio. Le tredici storie s'intitolano:
  1. Silvio, Iris e Adriano
  2. Quico
  3. Un debito dimenticato
  4. Mimma
  5. Tamarita
  6. Il Serpente Nero
  7. Sarà una risata...
  8. Alexandre-Marius Jacob, il vero Arsenio Lupin
  9. Nicola & Bartolomeo
  10. Argo l'Ardito
  11. Jack e Pancho
  12. Tupac Amaru
  13. Jim

giovedì 31 marzo 2011

Gabriel García Márquez - Cent'anni di solitudine


























E quanto più indifferente era alle necessità del granaio, tanto più appassionata si andava facendo l'indignazione di Fernanda, finché le sue proteste occasionali, i suoi sfoghi poco frequenti, traboccarono in un torrente incontenibile, sfrenato, che cominciò un mattino come il monotono bordone di una chitarra, e che a mano a mano che si svolgeva la giornata andò salendo di tono, sempre più ricco, più grandioso. Aureliano Secondo non si accorse della cantilena fino al giorno seguente, dopo colazione, quando si sentì stordito da un ronzare allora più fluido e alto del rumore della pioggia, ed era Fernanda che girava per tutta la casa lamentandosi che l'avevano educata come una regina per finire da serva in una casa di pazzi, con un marito fannullone, idolatra, libertino, che stava a pancia all'aria ad aspettare che gli piovesse la manna dal cielo, mentre lei si stroncava le reni cercando di tenere a galla una casa tenuta su con gli spilli, dove c'era tanto da fare, tanto da sopportare e da rabberciare, da quando spuntava Dio fino all'ora di mettersi a letto, che finiva coricarsi con gli occhi pieni di polvere di vetro e, tuttavia, mai nessuno che le dicesse buon giorno, Fernanda, come hai dormito, Fernanda, né le chiedevano mai anche solo per cortesia perché era così pallida e perché si svegliava con quegli occhi pesti, anche se lei non sperava, naturalmente, che qualcosa di simile saltasse fuori dal resto di una famiglia che in fondo l'aveva sempre considerata come un impiccio, come lo straccetto per sollevare la pentola, come un pupazzo scarabocchiato sul muro, e che andavano sempre spettegolando contro di lei negli angoli, chiamandola bigottona, chiamandola farisea, chiamandola volpe, e perfino Amaranta, requiescat in pace, aveva detto chiaro e tondo che era di quelle che scambiavano il sesso maschile con l'equinozio, benedetto Dio, che parole, e lei aveva sopportato tutto con rassegnazione per le intenzioni del Santo Padre, ma non aveva potuto più resistere quando quel malvagio di José Arcadio Secondo aveva detto che la rovina della famiglia era stata quella di aprire la porta a una spocchiosa, immaginarsi un po', a una spocchiosa prepotente, Dio mi aiuti, una spocchiosa figlia di mala saliva, della stessa indole degli spocchiosi che aveva mandato il governo a uccidere i lavoratori, ditemi un po', e si riferiva niente di meno che lei, la figlioccia del Duca di Alba, una dama di tale prosapia da far rivoltare il fegato alle mogli dei presidenti, una idalga di sangue come lei che aveva il diritto di firmare con dodici spagnolissimi cognomi, e che era l'unica mortale in quel villaggio di bastardi che non si sentiva impacciata davanti a sedici posate, perché poi quell'adultero di suo marito saltasse fuori a dire sghignazzando che tanti cucchiai e forchette, e tanti coltelli e cucchiai non erano roba da cristiani, ma da centopiedi, e l'unica che poteva stabilire a occhi chiusi quando si serviva il vino bianco, e da che parte e in quale bicchiere, e quando si serviva il vino rosso, e da che parte e in quale bicchiere, e non come quella selvatica di Amaranta, requiescat in pace, che credeva che il vino bianco si servisse di giorno e il vino rosso di sera, e l'unica in tutta la costa che poteva vantarsi di non essere mai andata di corpo se non in pitali d'oro, perché poi il colonnello Aureliano Buendia, requiescat in pace, avesse la sfacciataggine di chiedere con il suo fiele di massone perché mai si era meritata quel privilegio, se era forse perché lei non cagava merda, ma fiordalisi, immaginarsi, che parole, e perché poi Renata, la sua stessa figlia, che indiscretamente aveva visto le sue deiezioni nella stanza da letto, rispondesse che in realtà il pitale era d'oro puro e di pura araldica, ma quello che c'era dentro era pura merda, merda fisica, e ancor peggio delle altre perché era merda spocchiosa, immaginarsi la sua stessa figlia, di modo che non si era mai fatte illusioni sul resto della famiglia, ma in ogni modo aveva il diritto di aspettarsi un po' più di considerazione almeno da parte di suo marito, dato che bene o male era suo coniuge sacramentale, il suo autore, il suo legittimo pregiudicatore, che si era addossato per volontà libera e sovrana la grave responsabilità di toglierla dal focolare paterno, dove non si era mai privata né lamentata di nulla, dove intrecciava palme funebri per puro piacere di passatempo, dato che il suo padrino le aveva mandato una lettera e il sigillo del suo anello impresso nella ceralacca, solo per dirle che le mani della sua figlioccia non erano fatte per faccende di questo mondo, tranne che per suonare il clavicembalo e, tuttavia, quell'insensato di suo marito l'aveva tolta dalla sua casa con tutti gli ammonimenti e le raccomandazioni e l'aveva portata in quella bolgia infernale dove non si poteva respirare dal caldo, e prima ancora che lei avesse finito di osservare le sue diete di Pentecoste se n'era già andato, coi suoi bauli transumanti e la sua fisarmonica da giramondo, in un luogo di adulterio, con una disgraziata alla quale bastava guardare le chiappe, be', ormai le era scappata, alla quale bastava vedere come dimenava le chiappe da giumenta per capire subito che era una, che era una, tutto il coontrario di lei, che era signora sia nel palazzo sia nello strabbiolo, sia a tavola sia a letto, signora di nascita, timorosa di Dio, ubbidiente alle sue leggi e sottomessa ai suoi disegni, e con la quale non poteva fare, naturalmente, le smorfie e i saltimortali che faceva con l'altra, che naturalmente si prestava a tutto, come le matrone francesi, e ancora peggio, a pensarci bene, perché quelle almeno avevano l'onestà di mettere una lanterna rossa sulla porta, porcherie simili, immaginarsi, non mancava altro, con la figlia unica e beneamata di donna Renata Argote e di don Fernando del Carpio, e soprattutto di questo, naturalmente, un santuomo, un cristiano di grandi meriti, Cavaliere dell'Ordine del Santo Sepolcro, di quelli che ricevono direttamente da Dio il privilegio di mantenersi intatti nella tomba, con la pelle tesa come raso di sposa e con gli occhi vivi e diafani come smeraldi.
« Questo sì che non è vero » la interruppe Aureliano Secondo, « quando lo hanno portato qui già puzzava. »
Aveva avuto la pazienza di starla a sentire per un giorno intero, finché l'aveva colta in fallo.